Danane - Campo di concentramento

Dhanaane - Somalia
Tipo di campo
Campo di concentramento dalla fine del 1935 al 18 marzo 1941
Fonte: SBA1 DEL1 TMT1 TMA1 TIZ1

 

Storia

Costruito alla fine del 1935 dal regime italiano, il campo di concentramento per confinati politici di Danane ha le funzioni di imprigionare ufficiali inferiori, semplici soldati, oppositori politici e membri dell’amministrazione statale etiope, ma anche molti civili, in particolare in seguito alla repressione messa in atto dopo il fallito attentato a Rodolfo  Graziani del 19 febbraio 1937.

 

A metà del 1936 la maggior parte degli internati sono soldati semplici amhara, membri dell’esercito di Ras Desta Damtru, il figlio adottivo dell'Imperatore Haile Selassie.

 

A partire dal 1937, il governatore dell'AOI Rodolfo Graziani pianifica l’eliminazione delle alte autorità etiopi accusate di non collaborare con l'amministrazione italiana. Questi funzionari vengono internati a Danane con la qualifica di “criminali”.

Questo piano, ideato prima del fallito attentato, non trova però l'assenso di Benito Mussolini.

 

All’inizio del novembre 1937 giungono a Danane anche 360 ragazzi superstiti del massacro di Debre Libanos, transitati in maggior parte attraverso i campi Debre Birhan e Nefasilk.

 

Fra giugno e novembre del 1937, anche un centinaio di residenti della zona di Debre Libanos vengono deportati a Danane, nel tentativo di cancellare la memoria sul massacro avvenuto nel convento il 21 maggio 1937.

 

Dopo il loro rientro in Etiopia dalla deportazione in Italia, anche alcune delle circa 400 persone appartenenti all'élite etiope sono inviati a Danane.

 

Donne e bambini venivano tenuti separati dagli uomini, così come, almeno all'inizio, i prigionieri politici (considerati criminali) erano separati dai prigionieri di guerra.

 

Imru Zelleke, internato a Danane nel 1937 quando aveva 12 anni, ricorda: “All'interno di ogni settore, parenti, amici e conoscenti cercavano di restare uniti per aiutarsi a vicenda. Non c'erano comunicazioni tra le diverse sezioni del campo.

Dopo un po' fu concesso agli uomini sposati di vedere la domenica le proprie mogli. Ma non c'era un contatto fisico tra loro, potevano parlare attraverso il recinto e lo potevano fare solo per il poco tempo che ea loro concesso.

Poiché ero giovane mi fu concesso di andare in visita a mia madre e mia sorella. Una volta, quando ero molto ammalato di malaria, mi lasciarono vivere con mia madre fino alla guarigione” (TIZ1).

 

All’interno del campo esiste un luogo per le punizione, gli interrogatori e le torture (cfr. CAM3).

Gli internati vengono puniti anche solo per piccoli errori commessi nello svolgimento dei lavori di routine nel campo. Cosa che poteva capitare anche per la debolezza fisica degli internati. Ma le punizioni potevano dipendere anche dal malumore delle guardie.

Una forma di punizione consisteva nell'appendere i prigionieri a un muro con i piedi a penzoloni, senza poter toccare terra (cfr. TMT1).

 

Il campo di Danane, così come a maggior ragione i sottocampi di lavoro di  Janaale e Moico, segue una forte logica di sfruttamento economico della forza lavoro degli internati. I prigionieri, organizzati in gruppi di 150 persone, sono costretti ai lavori forzati nel campo e al di fuori di esso.

 

Donne e bambini devono pulire il campo, come ha raccontato da  Tebebe Kassa in una testimonianza raccolta da Ian Campbell. Gli uomini devono cercare legna, lavorare in giardino e costruire strade (CAM3).

 

Nell’aprile 1940 viene annunciato l’arrivo di  2.000 nuovi internati a Danane, e il comandante  Mazzucchetti pensa di inviarli ai lavori forzati nel comprensorio Janaale.

 

Il clima nella zona di Danane è molto umido a causa della sua vicinanza al mare, e le condizioni sanitarie vengono considerate “disastrose” dagli stessi funzionari italiani che periodicamente visitano il campo. Le malattie più diffuse sono la malaria e la polmonite. Infatti, gli internati etiopi sono abituati a tutt'altro clima, visto che vivono negli altipiani al oltre duemila metri di altezza.

 

Imru Zelleke ricorda: “Fuori del campo c'era una tenda isolata chiamata lazzareto. Serviva come luogo per i moribondi che non potevano più aver cura di se stessi. Erano semplicemente lasciati là, a morire. Io ed una giovane infermiera eravamo gli unici a dare loro cibo ed acqua. Pochi resistevano più di due o tre giorni prima di morire” (TIZ1).

 

Nel settembre 1937 il comandante dei carabinieri in Etiopia Azolino Hazon, in qualità di responsabile dei campi, ispezione quello di Danane: “La moralità dei confinati nel campo di concentramento Danane come ha costatato e anche dichiarato il prof. Tedeschi, ispettore del servizio sanitario della Somalia, in una recentissima visita, non può destare allarme e va considerata normale”.

 

Le fonti ufficiali del governo fascista restituiscono un’immagine di Danane contrapposta a quella testimoniata dagli ex internati. Ma anche a quella lasciata dal comandante del campo Mazzucchetti nei suoi diari. Così scrive il 15 agosto 1937: “Appena entrato nel campo uomini mi si è presentata la scena di un cadavere nudo e scheletrico legato come un baccalà che stavano lavando per poi seppellirlo! Le donne e qualche uomo mi si sono fatti incontro mostrandomi delle pagnotte coll'interno verde come del gorgonzola. Altri mi dicono che non possono mangiare il rancio perché danno sempre riso e cattivo” (TMA1).

 

Azolino Hazon dichiara invece che: “A parere del prof. Tedeschi, il vitto distribuito contiene circa 1800 calorie sufficiente alla nutrizione normale” (DEL2)

Il direttore sanitario del campo Antonino Niosi, descritto dai testimoni come responsabile di sperimentazioni pseudo scientifichi e di iniezioni a base di arsenico e stricnina per uccidere gli internati ammalati (TMT1), riteneva che: “la salute dei confinati è ottima, l’alimentazione perfetta, l’assistenza morale e sanitario scrupolosa e il morale di questi è ottimo” (DEL2).

 

Di fatti il cibo consiste in gallette marce spezzate con vermi o riso bianco. Alimentazione che migliora solo dopo il permesso dato agli internati di cucinare da sé e acquistare verdure nei negozi fuori dal campo.

 

Soltanto l’acqua inquinata del pozzo del campo di Danane è causa di centinaia di morti. La mortalità arriva nei momenti peggiori a 30 decessi al giorno, raggiungendo un totale di 3.175 morti, cioè il 49 per cento dei 6.500 internati durante tutto il periodo di attività del campo.

 

Solo gli internati che ricevono denaro dai famigliari si possono permettere di comprare latte e acqua in un negozio fuori del campo, hanno maggiori probabilità di sopravvivere.

 

Secondo la testimonianza del giudice Michael Blatta Bekele Hapte il fatto che i prigionieri morivano di fame era calcolato e pianificato dalle autorità italiane.  

 

Ato Kenna, internato fino al 1940 a Danane, conferma le cifre giornaliere  dei morti nel campo. Comunque, sempre secondo Ato Kenna, le condizioni di vita a Danane erano migliori di quelle del campo di Nocra.

 

«Mi hanno trasferito (da Nocra) a Danane. Lì è stato meglio. L’amministratore del campo mi ha assegnato dei lavori di assistenza agli internati: portare l’acqua, il cibo, le gallette, che noi riscaldavamo al sole. Molti sono morti, tutti i giorni, tutti i giorni si moriva (a Danane). Ma Nocra è stato più terribile, talmente caldo, che si dimagriva, si dimagriva. È stato molto duro» (cfr. Fabienne Le Houerou, 1994, p. 87).

 

[«Après, quand on m'a transféré à Danane c'était mieux et le secrétariat du camp m'a choisi pour assister les autres confinati : pour porter de l'eau, la nourriture, la galetta que nous faisions réchauffer au soleil. Beaucoup mouraient. Tous les jours, tous les jours ils mouraient. Mais Nocra c'était terrible, tellement chaud, on maigrissait on maigrissait, c'était trop dur»] (cfr. Fabienne Le Houerou, 1994, p. 87).

 

Il giudice Michael Blatta Bekele Hapte arriva a Danane nel luglio-agosto del 1936. E' tra i primi internati del campo, in quel momento sono presenti 200 prigionieri di guerra, soldati dell’esercito di Ras Desta.

 

“Pensavamo che ci mettessero assieme ai prigionieri di guerra, invece ci rinchiusero con i criminali e gli assassini.

Il cibo che gli italiani ci davano era molto nocivo per la nostra salute. Erano biscotti spezzati con dei vermi, accompagnato da tè e caffè. Ci siamo tutti ammalati perché non eravamo abituati a quel cibo.

 

All’interno della prigione per criminali ci lamentavamo continuamente presso il comandante brigadiere Baroni. Ma lui ci diceva che non poteva fare niente, perché era deciso così dai suoi superiori.

 

Anche a quelli che avevano un po’ di soldi era proibito comprare altro cibo.

 

Subito dopo l’attentato a Graziani, gli italiani portarono circa 1000 prigionieri etiopi a Danane, e li concentrarono in una zona del campo vicino alla nostra, quella per internati criminali. Prima di quei giorni eravamo soltanto in 50, 60 etiopi provenienti da Harar e Addis Abeba. Allora ci hanno portati fuori dalla nostra prigione e messi assieme alle altre mille persone arrivate nel campo di concentramento.

 

Dopo di che la situazione del cibo è ancora peggiorata. A causa della mancanza dei servizi igienici e del pessimo cibo si ammalarono in molti. Morivano quattro, cinque persone al giorno. Se si ammalava qualcuno che aveva dei parenti nel campo, era proibito alle moglie prendersi cura di loro, e viceversa” (cfr. TMB1).

 

[“We assumed that they were going to put us among the captives, but. Contrary to our expectatiuns, we were put among criminal murderers.

The food which the Italians gave us was very bad for our health. The food was rotten biscuits with many worms in them and we also got tea and coffee alternately. As we were not accustomed to what they used to give us for food we all became sick because of unsuitable food.

 

When we were imprisoned in the criminal jail, the commander of the jail was Brigadier Leyopadel Baroni. We repeatedly complained to him about the food, but he said he could not do anything about it, because it was ordered by his superiors.

 

Even if we possessed a small amount of money we were forbidden to buy any kind of food from the neighborhood.

 

Soon after the attempt on Graziani's life the Italians brought about a thousand Ethiopians to Danane and confined them in the concentration camp, specially prepared for the confinement of Ethiopians near the criminal prison where we were imprisoned. Before the said thousand Ethiopians came, the concentration camp was occupied by 60 Ethiopians who were brought from Harar and Addis Ababa; and we were also taken out of the criminal prison camp and put in confinement with them. Afterwards we were mixed with the rest of the confined Ethiopians.

 

The food conditions were even worse than before. As I mentioned above, we were about a thousand Ethiopians who were confined in that camp, and because of the lack of sufficient latrines, the filthy conditions and the lack of suitable food in the camp, many persons got sick, and the death rate was four to five persons daily. When relatives were ill in the prison camp, wives were forbidden to nurse their husbands and husbands to nurse their wives, and relatives to nurse a relative”] (cfr. TMB1).

 

Michael Tessema arriva a Danane nel settembre 1937 e vi rimane internato per tre anni e tre mesi.

Descrive così la sua esperienza: “Tre internati dovevano convivere in una tenda pensata per un solo  soldato. Non ci hanno dato niente, né vestiti, né lenzuoli e nemmeno tappeti da usare come materassi.

 

Inizialmente il cibo consisteva in gallette. Bevevamo l’acqua del mare, perciò giornalmente morivano dalle 6 alle 30 persone. Complessivamente sono morte 3.175. Sono venuto a conoscenza di queste cifre, perché lavoravo da prigioniero come assistente medico e tenevo le schede dei morti.

 

Fino alla fine le autorità italiane non ci hanno fornito acqua potabile. 3.175 su 6.500 persone sono morte a Danane.

 

Non morivano tutti perché alcuni ricevevano soldi dai loro parenti e compravano l’acqua minerale imbottigliata portata dall’Italia e latte fermentato dai somali.

 

Dopo un anno ci davano pane, pasta, riso, tè e carne una volta la settimana. […]

 

Il personale impiegato nel campo comprendeva una sessantina di europei. Fra di loro il brigadiere Baroni, il sergente Tosato e un maresciallo dei carabinieri di cui non ricordo il nome. Frustavano i prigionieri dicendo che non avrebbero risposto ai saluti, oppure che non lavoravano con impegno.

 

I lavori nel campo comprendevano la pulizia, andare in un posto chiamato Canale per lavori in un giardino, raccogliere legna e costruire strade. Donne e uomini che si rifiutavano di lavorare o che erano troppo deboli, furono legati e appesi a un muro, con i piedi penzoli. Rimanevano cosi per sette giorni. A causa di questo, le braccia di due persone si sono gonfiate e sono state amputate.

 

Se i prigionieri si ammalavano, il capitano Antonio diceva che sarebbe meglio per loro morire. E li ammazzava con una iniezione di stricnina e arsenico. Altri, che venivano per farsi curare, sono stati legati ai letti e operati contro la loro volontà”  (cfr. TMT1).

 

[“Three prisoners used to live in a little tent provided for one soldier. The prisoners were not given any kind of cloth, blanket or carpet to sleep on.

 

At first, the food was four hard biscuits (galeta) in a day. As we used to drink sea water the daily death rate was between six and thirty persons, who died from dysentery. A total of 3,175 persons died. I was able to know this, because while I was a prisoner myself there I was given a job as a medical assistant, and so records of the sick persons and obituary notes were kept by me.

 

Up to the end the Italian authorities never provided potable water for prisoners at Danane. From 6,500 persons, who were at Danane, 3,175 died.

 

The reason why not all of them perished was because the prisoners used to receive some money from their relatives and bought "aqua minerale" which was brought from Italy in sealed bottles, and churned milk from Somalis. […]

 

The staff included a total of about sixty Europeans. From among the Italians who were there, Brigadier Baroni, Sergeant Tosato, and a marshal of carabinieri whose name I have forgotten, used to whip prisoners, saying that the prisoners did not salute them or that they did not work hard enough.

 

The sort of work which the prisoner; used to do was to clean away dirt, to go to a place called Ganale and work in the garden, to collect and fetch firewood, and build roads. Those females and males who were tired and refused to work were tied by their hands behind their backs and hanged on the wall for seven days without their feet touching the ground. Because of this cause the arms of two persons swelled up and were amputated.

 

When prisoners became very sick, Captain Antonio used to say it is better for them to die. And killed them by giving them injections of arsenic and strychnine. Also when some of them came for treatment he used to tie them down by force and perform operations against their will.” (TMT1)

 

 

Imru Zelleke viene internato a Danane nel marzo 1937 e vi rimane fino all’autunno 1938.

 

“I primi mesi furono terribili, il cibo consisteva in verdure bollite e gallette che erano marce e piene di vermi. L'acqua potabile era estratta da pozzi scavati vicino al mare, il che la rendeva salata.

 

Al principio non vi era assistenza medica, sebbene in seguito fu assegnato un dottore al campo. La gente si ammalava di malaria, dissenteria, scorbuto, tifo, malattie tropicali e ogni sorta di malattia causata dalla malnutrizione e dalle pessime condizioni di vita.

 

Diverse centinaia di uomini morirono nei primi mesi, in tutto penso che più di un terzo dei prigionieri deportati a Danane morì. Le condizioni nella parte centrale del campo erano malsane a causa delle alte mura che lo circondavano, non c'era abbastanza circolazione d'aria ed il caldo rendeva l'aria soffocante ed insalubre.

 

C'erano solo otto o dieci buche come latrine e potete immaginare come potesse essere con centinaia di prigionieri sofferenti di diarrea.

 

Ogni mattina i maschi adulti venivano portati fuori dal campo per tagliare la legna e svolgere altri lavori pesanti che aveva ordinato il comandante del campo. La sera si pregava e si intonava “Igziyooo!”, un canto religioso di gruppo. Siccome non potevo fare lavori manuali pesanti, data la mia età, fui assegnato all' infermeria, dove aiutavo a pulire ed a fare lavori occasionali. Stando lì vidi più morte e agonia che durante tutta la mia vita.

 

Per il resto non c'era molto da fare, molto tempo era speso leggendo la Bibbia e alcuni testi religiosi che erano disponibili, alcuni degli istruiti presero ad insegnare ai giovani. A dire il vero imparai l'italiano e altre materie da loro, specialmente da mio fratello. Gli scacchi e gabeta su delle rudimentali tavolette erano giochi molto popolari. Oppure si discuteva di vari argomenti e speculazioni sul nostro destino, sulla religione, sulla politica e la storia, che portarono a discussioni senza fine. Non vi erano tentativi di fuga, dato che tutte le popolazioni vicine erano ostili. Seppi più tardi, però, che due uomini erano scappati e che riuscirono ad arrivare a casa.

 

Di domenica era permesso andare al mare dove potevamo lavarci e lavare i nostri poveri stracci. Grazie a Dio il clima era caldo e qualunque brandello di vestito avessimo bastava per coprirci. Alcuni impararono addirittura a confezionare vestiti con qualunque straccio si riuscisse a trovare.

 

Ogni tanto era permesso scrivere lettere e riceverne delle loro famiglie. Il morale era solitamente abbastanza alto, c'era sempre qualcosa di cui ridere o piangere, la gente non aveva perso la speranza. Credevano fermamente che sarebbero stati liberati e che alla fine gli italiani se ne sarebbero andati.

 

Le persone si aiutavano l'un l'altro in ogni modo possibile. Non c'erano divisioni etniche, poveri e ricchi, alti e bassi, ciascuno aiutava l’altro. La solidarietà e la generosità sono infatti radicati nello spirito etiope, e si manifestano specialmente in situazioni così terribili.

 

Alcune delle persone che ricordo sono: Fitawrari Haile Zelleqa, Maggiore Asfaw Ali, Maggiore Bahru Kabba che è morto nella prigionia, Ato Tewodros Mengasha, Yassu Mengasha Tenente generale Tigre Makonnen Hailemariam, Ato Wolde Endeshaw, Ato Bekele Tessema, Ato Yassu (?), W/ro Tsige Mengasha, W/ro Atzede Wolde Amanuel, W/ro Shitaye Wolde Amanuel, Ato Bayou Wolde Giorgis, Ato Mokria Makonnen, Fitawrari Ambaw Gulilate, Fitawrari Wossene Awrariss , Ato Tekle Tsadik Mokria, e tanti altri.

 

Un giorno, verso la fine del 1938, all'incirca trecento di noi furono riportati ad Addis Abeba e liberati. A quel tempo Graziani, a causa della sua eccessiva brutalità e dell'espansione della resistenza etiope, fu sostituito dal duca d'Aosta come vicerè. Gli italiani tornarono alla loro politica di riappacificazione e vollero mostrare clemenza. Questo io ritengo fosse il motivo del rilascio.

 

Mio fratello non fu liberato, fu trasferito sull'isola di Dahlak, nella prigione di Nocra, dove rimase un altro anno. Gli altri prigionieri furono rilasciati poco a poco, e tutti quelli che sopravvissero, intorno a 700 di tremila, tornarono a casa” (TIZ1).

 

A partire da dicembre del 1940, a Danane sono stati internati anche prigionieri di guerra catturati durante i combattimenti con le truppe inglesi.

 

Dopo la liberazione del campo da parte delle truppe inglesi il 18 marzo 1941, Danane viene utilizzato dagli stessi come campo per prigionieri di guerra italiani catturati nel percorso della liberazione dell’Etiopia e del Eritrea

 

(cfr. CAM3; DEL2, p. 59-70; SBA1, p. 216-218; TIC1; TMT1; TMB1).


note

* Durante l'occupazione coloniale, le autorità italiane hanno sostituito molti toponimi delle città con nomi italiani o italianizzati.


 
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Testimonianze

Blatta Bekele Hapte Michael

Testimone diretto
Mazzucchetti Eugenio

Testimone diretto
Tessema Michael

Testimone diretto
Zelleke Imru

Testimone diretto
Bekele Shiferaw

Esperto/storico
Campbell Ian

Esperto/storico
Pankhurst Richard

Esperto/storico
Walston James

Esperto/storico
Zelleke Imru

Testimone diretto
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