Nocra - Campo di concentramento

Nocra - Eritrea
Tipo di campo
Campo di concentramento
Fonte: SBA1 TJG1 P068

 

Storia

Sull'isola di Nocra viene istituito nel 1895 il primo campo di concentramento dell'Italia liberale. Viene utilizzato (anche dal regime fascista fino al 1930), nel corso delle diverse fasi dell’occupazione dell'Eritrea, dell’Etiopia e della Somalia per imprigionare persone considerate politicamente pericolose.

 

Il campo di Nocra viene riaperto nel 1936 per i deportati politici e prigionieri di guerra provenienti da altri campi in Eritrea, Etiopia e Somalia, particolarmente da Adua, Adi Caieh, Adi Ugri, Akaki, Dire Dawa, Macallè e Danane, ma anche da campi italiani in seguito al rientro dell’élite etiope già deportata in Italia (cfr. Federica Saini Fasanotti, 2010, p. 53 e s., P068).

 

Le direttive sanitarie per i campi italiani in Africa stabiliscono che all’arrivo nei campi i prigionieri devono essere “spidocchiati“, capelli e barba rasati, vaccinati contro il vaiolo e tutti i loro indumenti disinfettati. Le pratiche devono essere registrate nelle schede personali degli internati (Cfr. Federica Saini Fasanotti, 2010, p. 54).

 

L'isola ha una temperatura media di 50 gradi nel corso quasi dell'intero l'anno; il clima inoltre è molto umido.

 

Vista la costante scarsità di acqua potabile, le condizione igieniche in cui vivono gli internati sono disastrose. Un numero imprecisato di internati etiopi muore a causa del pesante clima al quale non sono abituati, provenendo dagli altipiani con altitudini superiori ai 2.000 metri.

 

I prigionieri sono costretti al lavoro coatto presso una fabbrica di cemento italiana e presso lo stabilimento della ditta petrolifera AGIP sull’arcipelago Dahlac (cfr. Alberto Sbacchi, 1977, p. 218).

 

Jacob Gabrie Leul viene internato a Nocra nel luglio del 1938, e vi rimane fino al giugno del 1940.

Ecco una parte della sua testimonianza: “La cosa più difficile a Nocra era l’alta temperatura. C'erano 50 gradi all'ombra. Ogni giorno qualcuno moriva per i colpi di calore. Ci forzarono a lavorare. Tranne noi quattro, i prigionieri dovevano portare pietre e legno, costruire case e altri lavori forzati. Noi quattro invece lavoravamo in ufficio.

C'erano 1.800 prigionieri a Nocra, fra di loro 150 politici. Gli altri erano detenuti condannati, alcuni criminali comuni, altri ancora eritrei che si erano ribellati contro gli italiani. Non ricevevamo sufficiente acqua potabile e allora molti si ammalavano. Alcuni bevevano l’acqua salata del mare e morivano. Tanti sono morti di disidratazione. I prigionieri politici furono costretti ai lavori forzati e venivano frustati se si opponevano.

Quando i nostri famigliari ci mandarono del denaro, gli italiani ci consegnavano solo 15 lire al mese di quei soldi. Con quel denaro compravamo del cibo ma molti prigionieri sono morti lo stesso per la scarsa alimentazione. Molti morivano di cosiddetto “paludismo”.

Il dottore viveva a Massawa e veniva solo ogni tanto. Ma c’era un veterinario etiope fra i prigionieri, Alema Work.

Noi quattro avevamo letti per dormire, ma gli altri prigionieri dormirono sul pavimento nudo. Il trattamento dei prigionieri comuni e politici era lo stesso, erano soltanto separati per dormire.

Una volta quando i prigionieri vennero chiamati a prendere il denaro mandato dai parenti, un ufficiale ordinò loro di togliersi le scarpe. Alcuni di loro si rifiutarono perché la terra era troppo calda, e per questo furono mandati in una cella al buio per due, tre mesi. L’ufficiale si chiamava capitano Bartogli, era il comandante della prigione.

Quando il veterinario Alema Work diceva che i prigionieri erano ammalati, gli italiani li obbligavano lo stesso a lavorare.

C’erano anche sei donne a Nocra, due erano arrivate con noi. Erano in una zona separata ma ricevevano lo stesso trattamento degli uomini per quanto riguardava il cibo e il resto”.

 

[The most difficult thing there was the heat. In the shade the temperature used to go up to 50° C. (122° F.). There were deaths every day from sunstroke. They used to force us to work. Except four of us, the prisoners were forced to carry stones, wood, build houses and do other hard labour. We were working in the office.

There were about 1.800 prisoners on that island. There were 150 political prisoners among them. The others were sentenced prisoners, some of them ordinary criminals, some of them inhabitants of Eritrea who had revolted against the Italians. The supply of drinking water was insufficient. Some of the prisoners drank sea water on the beach, the result being that they fell sick and died. Many died from dysentery. The political prisoners were forced to do hard labour and were flogged when they refused, saying that they could not work like the criminals.

When our relatives sent us money the Italians used to give us 15 lire a month from that. With that money we tried to get a little more food. Many prisoners on that island died from malnutrition. A disease called "paludism" spread among the prisoners and they died from that.

The doctor was living in Massawa and came to the island very rarely. Among the prisoners there was an Ethiopian veterinary surgeon, D. L. Alema Work.

Four of us were allowed to take beds with us to that island; but all the other prisoners were bound to sleep on the bare floor. The treatment of political prisoners and criminals was on the whole the same, but they used to sleep in separate quarters.

Once, when the prisoners were going to a certain officer to receive installments of the money sent to them, they were asked to take off their shoes, and when some of them refused because of the hot ground and because they were used to wearing shoes, some of them were sentenced to be kept in a separate dark cell for two or three months. This Italian was Captain Bartogli, "Residente" of the island and in charge of the prison.

When Doctor Alema Work gave his orders for the sick prisoners, the Italians used to disregard his directions and forced teh people to work.

There were also six females on that island; two of them had come with us. They were kept separately, but given the same treatment, food and so on as the others. (cfr. Jacob Gabrie Leul, TJG1)]

 

Anche Ato Kenna è stato internato a Nocra nel 1937.

La testimonianza da lui rilasciata nel gennaio del 1987 è contenuta nel libro di Fabienne Le Houerou (1994, pp. 85 e s.)

 

«A Nocra ci siamo rifiutati con altri prigionieri di continuare a fare i mattoni. Allora gli italiani ci hanno mandato a cercare legna. Ma invece di andare nel bosco ci siamo nascosti per giocare ai dadi. Uno faceva da sentinella per vedere se arrivava la guardia. Ma un giorno i carabinieri ci hanno sorpreso e per punizione hanno iniziato ogni giorno a darci 15 frustate. Una volta, uno di noi si è ribellato a questa umiliazione e per ulteriore punizione il colonnello del campo lo ha fatto rinchiudere in una cella d’isolamento per due mesi, dandogli solo due bottigliette d’acqua al giorno.

Il comandante ci diceva che saremmo morti tutti nel campo. “Perché siete pigri, perché non amate l’Italia e perché siete disonesti!"

In paragone con Nocra, a Danane si stava bene. C’era un caldo terribile [a Nocra]. Avevamo soltanto il permesso di bere due bottigliette d’acqua al giorno, bevevamo però soltanto la metà e davamo il resto ai più deboli. A Nocra soffrivamo veramente il caldo. Durante le ore più calde ci portavano al mare, in quella occasione ho imparato a nuotare.

Tutti erano più o meno malati. Mi sono salvato grazie all’infermiere del campo, altrimenti sarei morto. Mi dava, di nascosto, dei ricostituenti.

Dopo di che, mi hanno trasferito a Danane. Lì è stato meglio. L’amministratore del campo mi ha assegnato dei lavori di assistenza agli internati: portare l’acqua, il cibo, le gallette, che noi riscaldavamo al sole. Molti sono morti, tutti i giorni, tutti i giorni si moriva (a Danane). Ma Nocra è stato più terribile, talmente caldo, che si dimagriva, si dimagriva. È stato molto duro.»

 

A Nocra les prisonniers avaient refuse de faire des briques, alors les Italiens les envoyaient chercher du bois car il fallait bien occuper tous ces hommes. Au lieu d'aller prendre du bois, on jouait aux dés éthiopiens et l’un de nous faisait le guet pour voir si le garde n'arrivait pas. Un jour, un des carabiniers a surpris notre manège et il nous a fait donner 15 coups de bâtons par le Soudanais du camp qui bien souvent faisait semblant de nous taper. L'un de nous refusa un jour l'humiliation de se faire battre. Le colonel du camp l'a mis au cachot pendant deux mois avec pour toute ration alimentaire deux fiasco d'eau par jour.

Le commandant du camp nous disait régulièrement qu'on mourait tous ici ; "Parce que vous êtes fainéants, vous n'aimez pas I'Italie et vous êtes malhonnêtes!

Danane, c'était bien si I'on comparait à Nocra où il faisait une chaleur torride ; à Nocra nous n'avions le droit de boire que deux fiasco par jour ; mais en fait nous n'en buvions qu'un et demi et donnions le reste aux plus faibles. A Nocra nous avions vraiment souffert de la chaleur, aux heures les plus chaudes on nous emmenait à la mer, et c'est là où j'ai appris à nager.

Tout le monde était plus ou moins malade, moi j’ai réussi à m’en sortir grâce à l’Aide des infirmier du camp, sinon je serais mort. Il me donnait des fortifiants en cachette.

Après, quand on m'a transféré à Danane c'était mieux et le secrétariat du camp m'a choisi pour assister les autres confinati : pour porter de l'eau, la nourriture, la galetta que nous faisions réchauffer au soleil. Beaucoup mouraient. Tous les jours, tous les jours ils mouraient. Mais Nocra c'était terrible, tellement chaud, on maigrissait on maigrissait, c'était trop dur»].


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